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La c.d. vicinitas come requisito di legittimazione del terzo a ricorrere in materia urbanistico-edilizia anche a tutela di interessi commerciali

10/04/2019

La pronuncia del T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 28.01.2019, n. 188 offre l’occasione per affrontare il tema dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza amministrativa affinché possa essere riconosciuta ad un soggetto la legittimazione ad impugnare il permesso di costruire rilasciato in favore di terzi, anche con particolare riguardo alla possibilità – per un operatore economico – di proporre ricorso avverso il titolo edilizio rilasciato ad un concorrente.

Alla luce delle peculiarità che caratterizzano la fattispecie concreta sottoposta alla sua attenzione e, pur a fronte di un percorso argomentativo non del tutto convincente, la pronuncia del Giudice amministrativo lombardo presenta degli innegabili profili d’interesse.

In tale ottica, prima di soffermarci specificamente sul decisum del T.A.R., si procederà a ricostruire brevemente la cornice normativa e giurisprudenziale entro cui deve essere opportunamente inquadrata la questione dianzi evidenziata.

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La nostra breve ricostruzione deve prendere le mosse dall’art. 31 della legge urbanistica fondamentale n. 1150 del 17 agosto 1942, così come modificato dall’art. 10 della “legge ponte” n. 765 del 6 agosto 1967, che – come è noto –  attribuiva a “chiunque” la legittimazione a prendere visione, presso gli uffici comunali, della concessione edilizia rilasciata dall’Amministrazione in favore di terzi, e dei relativi atti di progetto, riconoscendo, altresì, la possibilità di “…ricorrere contro il rilascio della concessione edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di legge, o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”.

In origine, parte della dottrina ha sostenuto che la succitata disposizione fosse in grado di sovvertire il tradizionale meccanismo di legittimazione processuale, ipotizzando la possibilità che il legislatore avesse voluto introdurre una vera e propria azione popolare in materia urbanistico-edilizia, idonea – in quanto tale – a consentire l’attivazione del giudizio impugnatorio anche da parte di soggetti diversi dal proprietario c.d. «frontista» [1].

Ben presto, tuttavia, gli esiti radicali paventati dalla dottrina sopra richiamata e inizialmente avallati dalla giurisprudenza amministrativa [2], sono stati criticati da altri autorevoli commentatori [3] e definitivamente esclusi dal Consiglio di Stato, che ha, dunque, mutato il suo orientamento iniziale [4], finendo col negare che la norma in questione avesse introdotto un’azione popolare legittimante il quisque de populo ad impugnare le concessioni edilizie rilasciate a terzi.

Entro tali coordinate fondamentali, quindi, è maturata un’interpretazione assai più restrittiva del termine “chiunque”, secondo un orientamento interpretativo che ha riconosciuto la legittimazione a ricorrere ai soli soggetti portatori di interessi legittimi non semplicemente differenziati, ma qualificati da uno stabile collegamento fisico con l’area oggetto di intervento [5], delineando così una tutela giurisdizionale posta a metà strada tra il sistema tradizionale ed il ricorso popolare [6].

In tale contesto, dunque, lo stabile collegamento tra il ricorrente e la zona interessata dall’attività edificatoria autorizzata diventa l’essenziale criterio per discriminare l’ammissibilità o meno del proposto ricorso: stabile collegamento che – secondo l’ormai consolidato insegnamento giurisprudenziale – può essere fondatamente rinvenuto in presenza di diverse situazioni: dalla residenza o dal domicilio nell’area ove dovrà essere effettuato l’intervento assentito, dalla proprietà, dal possesso o comunque dalla detenzione di immobili nelle vicinanze dell’area anzidetta, ma anche da qualsiasi altro titolo di effettiva frequentazione della zona di cui trattasi [7]

In altri termini, ciò che risulta giuridicamente rilevante è l’esistenza di una connessione non effimera – che va apprezzata in termini di oggettiva prossimità o vicinanza fisica degli immobili – con l’area interessata dalla costruzione assentita, connessione da intendere quale elemento fondamentale al fine di differenziare con certezza la posizione giuridica di un soggetto da quella astrattamente caratterizzante qualsivoglia consociato che si trova a vivere in una determinato contesto territoriale.

Sempre nella prospettiva delineata, peraltro, non sussisterebbe la necessità – a detta della giurisprudenza sicuramente maggioritaria – che il ricorrente provveda alla puntuale dimostrazione del danno che lo stesso potrebbe eventualmente subire in conseguenza dell’intervento edilizio autorizzato. In diverse occasioni, infatti, il Giudice Amministrativo ha precisato che lo stabile collegamento con la zona incriminata è sufficiente di per sé a legittimare un soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche che egli assume violate, e ciò indipendentemente dalla prova del danno specifico che l’assentita costruzione potrebbe presumibilmente arrecargli, essendo insito nella violazione edilizia il pregiudizio procurato a tutti i membri di quella specifica collettività [8].

In relazione alla problematica in questione, tuttavia, risulta opportuno segnalare come, negli ultimi anni, siano rinvenibili, nella giurisprudenza amministrativa, diverse pronunce che si pongono in netto contrasto con quanto sostenuto dall’orientamento interpretativo dianzi citato. In particolar modo, è stato rimarcato che l’interesse ad impugnare il titolo abilitativo edilizio rilasciato a terzi non può considerarsi sussistente in virtù della semplice esistenza di uno stabile collegamento fisico fra il ricorrente e la zona interessata dall’intervento assentito, essendo comunque necessario che il medesimo ricorrente fornisca la prova, in concreto, di uno specifico danno subito [9].

Al riguardo, tuttavia, un’attenta disamina delle pronunce che hanno aderito a tale orientamento giurisprudenziale minoritario consente di apprezzare come, nella maggioranza dei casi, il contrasto de quo sia soltanto apparente, dal momento che la valutazione giudiziale risulta, in concreto, influenzata direttamente dalla diversa “portata” dell’atto amministrativo impugnato [10].

Sul tema, invero, il Consiglio di Stato ha significativamente osservato: «la tesi che ricollega la legittimazione al ricorso avverso il rilascio del permesso di costruire non solo alla vicinitas, ma anche alla dimostrazione del pregiudizio derivante dall’atto impugnato riguarda, per lo più, l’impugnazione di atti generali di programmazione e trasformazione del territorio (piano di lottizzazione, modifica di piano regolatore) ma non titoli singoli, quale è da considerarsi l’autorizzazione unica alla realizzazione dell’impianto, per i quali, al contrario, vale il principio della sufficienza, ai fini del riconoscimento della legittimazione, della sola vicinitas, con esclusione di qualunque indagine volta ad accertare, in concreto, un obiettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione per il rispetto delle norme di cui assuma la violazione» [11].

Ad ogni modo, sviluppando i principi sopra esposti in tema di vicinitas, il Giudice amministrativo ha avuto occasione di precisare come il criterio dello stabile collegamento sia caratterizzato da un’irriducibile elasticità, potendo assumere un significato potenzialmente più ampio rispetto alla mera prossimità di carattere fisico-geografico, con il conseguente ampliamento dei profili di legittimazione consolidati.

In tale ottica, si può notare che le considerazioni svolte in precedenza hanno trovato diretta applicazione nelle ipotesi in cui il rilascio di un titolo edilizio sia funzionale allo svolgimento di una determinata attività commerciale, costituendone il necessario presupposto e/o la condizione ineludibile per il suo ulteriore sviluppo (nel caso, per esempio, del rilascio di un permesso di costruire, che autorizzi l’ampliamento di un esercizio commerciale già esistente ed effettivamente operante in una determinata area).

Nelle ipotesi dianzi descritte, infatti, si pone necessariamente il problema di consentire a chi ha un esercizio commerciale già esistente di tutelare adeguatamente la propria attività e il proprio “portafoglio clienti”, anche proponendo un ricorso giurisdizionale di carattere urbanistico-edilizio.

In proposito, è appena il caso di sottolineare che l’assetto impresso al territorio comunale dallo strumento urbanistico incide su interessi estremamente eterogenei, valorizzandoli e/o penalizzandoli a seconda delle scelte di pianificazione concretamente operate dall’Amministrazione [12].

In tale contesto, si afferma, dunque, la necessità di consentire a coloro che esercitano un’attività commerciale di contestare le decisioni urbanistiche del Comune ogniqualvolta le predette decisioni finiscano per incidere negativamente sulla loro posizione giuridica soggettiva [13].

In considerazione delle esigenze dianzi esposte, dunque, il Giudice amministrativo ha ampliato sensibilmente le maglie della nozione di vicinitas, riconoscendo al titolare di un’attività commerciale la legittimazione ad impugnare il titolo abilitativo edilizio rilasciato a qualunque concorrente, che – in base alla tipologia e alla grandezza dei due esercizi commerciali – svolga la medesima attività entro lo stesso bacino d’utenza, pur in assenza di una vera e propria contiguità fisica [14].

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Venendo al merito del decisum del T.A.R. Lombardia, si evidenzia come la vicenda sottoposta all’esame del Collegio giudicante sia stata originata dall’impugnazione di un permesso di costruire rilasciato in favore di una Fondazione di diritto privato, dedita allo svolgimento di un’attività sanitaria privata, nell’ambito del territorio di un Comune in Provincia di Como.

Il titolo edilizio rilasciato aveva ad oggetto la ristrutturazione, con modifica della relativa destinazione d’uso, di un vecchio deposito d’acqua, facente parte del compendio immobiliare ove veniva svolta l’attività di carattere terapeutico.

Avverso il rilascio di tale permesso di costruire, è stato proposto apposito ricorso da parte di una Cooperativa titolare di un’analoga struttura terapeutico-riabilitativa, situata anch’essa nell’ambito del territorio del medesimo Comune.

Più specificatamente, in sede di impugnazione, la Cooperativa ricorrente ha dedotto che le opere edilizie autorizzate erano già state compiute al momento della presentazione della relativa istanza di rilascio, con la conseguenza che l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto, piuttosto, rilasciare un permesso di costruire in sanatoria per legittimare ex post quanto era già stato realizzato in assenza di titolo.

Nel costituirsi in giudizio, sia la difesa dell’Ente che quella della Fondazione controinteressata hanno sollevato un’eccezione d’inammissibilità, deducendo la carenza di qualsivoglia legittimazione ed interesse ad agire in capo alla Cooperativa che aveva proposto il ricorso. In altri termini, i difensori del Comune e della controinteressata hanno contestato l’esistenza – in capo alla ricorrente – del requisito della vicinitas fisica ed hanno evidenziato il difetto di ogni concreto pregiudizio derivante dall’esecuzione di opere interne e di modesta entità.

Ebbene, con riferimento a tale rilievo specifico, la decisione in esame ha ribadito come, in materia edilizia, sia stata introdotta, al fine di riconoscere la legittimazione al ricorso, la nozione di vicinitas, costituita – come ricordato in precedenza – dall’esistenza di uno stabile collegamento fra il ricorrente e l’area interessata dall’intervento edificatorio, illustrando, peraltro, come la giurisprudenza amministrativa si divida in ordine all’identificazione delle condizioni necessarie per accedere alla tutela giurisdizionale.

Chiarito ciò, il Giudice amministrativo lombardo ha precisato che, nell’ipotesi sottoposta alla sua attenzione, non poteva ritenersi integrato il requisito della vicinitas, mancando “la vicinanza e l’identità del contesto territoriale fra l’immobile della ricorrente e quello oggetto delle opere contestate”, puntualizzando, inoltre, che tale constatazione non poteva essere superata neppure alla luce del concetto più ampio di “bacino d’utenza”, invocato dalla Cooperativa ricorrente.

In proposito, il Collegio giudicante ha osservato come non possa «essere provata l’effettiva lesione della concorrenza», dal momento che tale lesione non può fondatamente ravvisarsi nel caso de quo, in ragione del fatto che «la tutela della concorrenza è assicurata dalla possibilità di accesso alle attività di produzione di beni e servizi, al fine di assicurare a ciascun soggetto (consumatori e imprese), di cogliere o proporre le migliori opportunità, senza imposizioni e vincoli da parte dello Stato o di altre imprese».

Di qui, il T.A.R. Lombardia ha, dunque, respinto il ricorso promosso della Cooperativa, accogliendo l’eccezione d’inammissibilità per carenza di interesse.

Sul punto, si può notare come gli esiti a cui giunge il Giudice amministrativo lombardo, nonché il percorso argomentativo sviluppato dallo stesso, non appaiono del tutto convincenti, dal momento che prescindono da ogni valutazione inerente alla possibile identità del bacino d’utenza delle due attività sanitarie svolte, rispettivamente, dalla Fondazione titolare del permesso di costruire rilasciato dal Comune, e dalla Cooperativa ricorrente, limitandosi a rilevare che fra le due strutture terapeutiche intercorre una distanza di almeno 500 metri.

Al contrario, nella decisione in esame, il T.A.R. sembra essersi concentrato unicamente sulla possibilità che il titolo edilizio concesso dall’Ente locale potesse, in qualche modo, recare pregiudizio all’assetto concorrenziale del mercato di riferimento, giungendo evidentemente ad escludere tale ipotesi sulla base delle considerazioni dianzi evidenziate.

Stando così le cose, la pronuncia giudiziale in esame si attesta su una posizione che non rispecchia compiutamente l’evoluzione del concetto di vicinitas impressa dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia.

Alla base di tale evoluzione, infatti, vi è sicuramente la possibilità che l’interesse di natura economico-commerciale e quello prettamente urbanistico possano cumularsi [15], cosicché anche il soggetto che esercita un’attività economica (in senso lato) privata possa – previa verifica dell’identità del bacino d’utenza – proporre un’impugnazione strumentale a tutela del primo interesse per il tramite del secondo, con l’inevitabile estensione del numero dei soggetti legittimati a gravare il titolo abilitativo edilizio rilasciata ad un diretto concorrente per lo svolgimento della medesima attività.

avv. Domenico Chinello

[1] Cfr. V. SPAGNUOLO VIGORITA, Interesse pubblico e azione popolare nella «legge-ponte» per l’urbanistica, in Riv. giur. edilizia, 1967, II, p. 387 e seg.; A. M. SANDULLI, L’azione popolare contro le licenze edilizie, in Riv. giur. edilizia, 1968, II, p. 3 e seg.; G. FRAGOLA, Le leggi urbanistiche edilizie, Padova, 1969, p. 227 e seg.; in senso più restrittivo, G. D’ANGELO, Le modifiche della legge urbanistica approvate dalla Camera dei Deputati, in Riv. giur. edilizia, 1967, II, p. 247 e seg..

[2] Al riguardo, si veda Cons. Stato, Sez. V, 29.10.1968, n. 1314.

[3] Si vedano, per esempio, C. LOPOPOLO, Pubblicità delle licenze edilizie e possibilità di ricorso, in Nuova rassegna, 1969, p. 283 e seg.; D. RODELLA, La legislazione urbanistica in Italia alla luce delle modificazioni apportate con la «legge - ponte», in Città e società, 1967, VI, p. 74 e seg..

[4] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 09.06.1970, n. 523; Cons. Stato, Sez. V, 27.08.1971, n. 753; e, per un approfondimento della problematica, G. DE SANCTIS MANGELLI, Ancora sull’azione popolare in materia edilizia, in Riv. giur. edilizia, 1971, II, p. 55 e seg..

[5] In tale ottica, tra le pronunce più recenti, si vedano per esempio, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 14.12.2018, n. 12175, secondo la quale «Nel caso di impugnativa di titoli edilizi, la vicinitas è elemento necessario e sufficiente per radicare la legittimazione e l’interesse del proprietario confinante», ma anche molteplici altre: T.A.R. Liguria, Sez. I, 01.12.2016, n. 1177; Cons. Stato, Sez. IV, 19.11.2015, n. 5278; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 20.05.2015, n. 1195; Cons. Stato, Sez. I, 22.09.2014, n. 4764; Cons. Stato, Sez. VI, 06.07.2010, n. 4299.

[6] Cfr. F.R. MAELLARO, La legittimazione al ricorso in materia urbanistica, in Giur. merito, 2012, p. 1492 e seg..

[7] In tali termini, ex multis, si vedano: T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 30.01.2018, n. 126; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 30.10.2015, n. 3117; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 11.05.2015 n. 1495; Cons. Stato, Sez. IV, 18.11.2014, n. 5662; Cons. Stato, Sez. IV, 18.04.2014, n. 1995; Cons. Stato, Sez. V, 21.05.2013, n. 2757; T.A.R. Molise, Sez. I, 26.05.2014, n. 346; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 08.03.2013, n. 627; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 01.10.2012, n. 1750; T.A.R. Trentino Alto Adige, Sez. I, 09.02.2010, n. 46.

[8] In proposito, ex multis, si ricordano: Cons. Stato, Sez. IV, 26.07.2018, n. 4583; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 30.01.2018, n. 126; T.A.R. Abruzzo, Sez. I, 23.02.2017, n. 109; T.A.R. Liguria, Sez. I, 13.12.2016, n. 1231; Cons. Stato, Sez. VI, 21.03.2016, n. 1156; Cons. Stato, Sez. III, 17.11.2015, n. 5257; Cons. Stato, Sez. IV, 13.03.2014, n. 1217; T.A.R. Liguria, Sez. I, 21.11.2013, n. 1406; T.A.R. Liguria, Sez. VI, 11.09.2013, n. 4493; T.A.R. Liguria, Sez. VI, 03.09.2013, n. 4390; T.A.R. Liguria, Sez. IV, 04.06.2013, n. 3055; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 17.05.2013, n. 1422.

[9] Si vedano: T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 21.09.2018, n. 9536; T.A.R. Veneto, Sez. II, 04.09.2018, n. 873; Cons. Stato, Sez. IV, 15.12.2017, n. 5908; T.A.R. Veneto, Sez. II, 14.10.2016, n. 1131; Cons. Stato, Sez. V, 22.03.2016, n. 1182; Cons. Stato, Sez. V, 13.03.2014, n. 1263

[10] Cfr. A. LONGO, La legittimazione dei terzi ad impugnare gli atti amministrativi in materia edilizia ed urbanistica: vicinitas e ulteriori condizioni di accesso alla tutela processuale, in Riv. giur. edilizia, 2016, IV, p. 516 e seg..

[11] In tali esatti termini, si veda la motivazione di Cons. Stato, sez. IV, 13.03.2014, n. 1217.

[12] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 1995, n. 16.

[13] Per una più ampia disamina di tale problematica, si rinvia a D. Chinello, Legittimazione ad impugnare la concessione edilizia altrui ed, in particolare, la legittimazione dei titolari di esercizi commerciali ad impugnare la concessione edilizia rilasciata ad un concorrente, in Appalti Urbanistica Edilizia, 2003, p. 75 e seg.

[14] Sul punto, la decisione Cons. Stato, Sez. IV, 01.06.2018, n. 3316 ha precisato: «Nell’ipotesi in cui ad impugnare il permesso di costruire correlato ad un’autorizzazione commerciale sia un operatore economico, il criterio dello stabile “collegamento territoriale” che deve legare il ricorrente all’area di operatività del controinteressato per poterne qualificare la posizione processuale e conseguentemente il diritto di azione, deve essere riguardato in un’ottica più ampia rispetto a quella usuale. In tal caso, infatti, il concetto di vicinitas nella contestazione di una struttura commerciale si specifica identificandosi nella nozione di stesso bacino d’utenza della concorrente, tale potendo essere ritenuto anche con un raggio di decine di chilometri. Pertanto, nell’ipotesi in cui ad impugnare il permesso di costruire sia il titolare di una struttura di vendita, affinché il suo interesse processuale possa qualificarsi personale, attuale e diretto, deve potersi ravvisare la coincidenza, totale o quanto meno parziale, del bacino di clientela, tale da poter oggettivamente determinare un apprezzabile calo del volume d’affari». Nei medesimi termini, si vedano Cons. Stato, Sez. IV, 19.11.2015 n. 5278; Cons. Stato, Ad. Plen. 25.02.2014 n. 9; Cons. Stato, Sez. IV, 17.09.2012 n. 4924; Cons. Stato, 30.11.2010 n. 8364.

[15] In proposito, chi scrive ha già avuto modo di osservare in passato: «se, dovessimo giudicare fine a se stesso l’interesse “urbanistico” di un soggetto a che la zona a cui egli è stabilmente collegato non venga urbanisticamente vulnerata, ecco che non avrebbe alcun senso (o, meglio, non sarebbe ammissibile) ragionare in termini di “mercato di riferimento”, neppure tra due attività commerciali, e non potrebbe, quindi, prescindersi in alcun caso dalla valutazione circa la contiguità fisica tra gli immobili dei contendenti.

Se, invece, si ritiene  – come sembra doversi ritenere –  che l’interesse di natura commerciale e quello prettamente urbanistico possano cumularsi, cosicché il titolare di una licenza commerciale possa proporre un’impugnazione strumentale a tutela del primo interesse per il tramite del secondo, ecco che allora lo “stabile collegamento” tra il ricorrente ed il controinteressato (recte, tra la sede dell’uno e quella dell’altro) potrà ragionevolmente valutarsi alla stregua del bacino d’utenza (inteso come ambito nel quale insiste la potenziale clientela) delle due attività, a prescindere da una vicinanza concreta tra di esse, con inevitabile estensione del numero dei soggetti legittimati a gravare la concessione edilizia rilasciata ad un diretto concorrente, per lo svolgimento della medesima attività». Cfr. D. Chinello, ult. op. cit., p. 85.