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L’ordine di demolizione di un immobile abusivo non richiede motivazione sul pubblico interesse neppure dopo anni dalla commissione dell’abuso

11/02/2019

La vertenza portata all’attenzione del Consiglio di Stato riguarda un’ordinanza di demolizione adottata al Comune di Napoli per sanzionare un intervento di ristrutturazione ed ampliamento posto in essere abusivamente da un privato su un appartamento di sua proprietà e consistente nella realizzazione di un solaio intermedio in ferro di 70 metri quadrati, impostato a 2,25 metri dal piano di calpestio e a m. 1,85 dalla copertura, costituito da tre vani, cucina e due w.c., privo di scala di collegamento.

A fronte di tale provvedimento sanzionatorio, il destinatario ha provveduto a proporre ricorso al T.A.R. Campania, sede di Napoli, risultando tuttavia soccombente.

Proposto appello al Consiglio di Stato, lo stesso si è alfine pronunciato con la sentenza della Sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6839.

Oltre ai motivi di impugnazione riguardanti la qualificazione dell’intervento edilizio sanzionato e l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, quello che maggiormente ci interessa, in questa sede, è la censura di carenza di motivazione, legata alla asserita vetustà dell’abuso.

In buona sostanza, il soggetto appellante ha dedotto che le opere abusive risultavano assai risalenti nel tempo e che, in tutti quegli anni, l’Amministrazione comunale aveva mantenuto uno stato di totale inerzia, il che avrebbe comportato l’obbligo – per l’Ente locale – di motivare in maniera congrua e puntuale circa la sussistenza di un interesse pubblico prevalente all’adozione dell’ordinanza di demolizione e ripristino.

Tale prospettazione, in effetti, poteva trovare un certo fondamento a causa di un perdurante contrasto giurisprudenziale che imponeva all’amministrazione un onere motivazionale più o meno rilevante a seconda dell’impostazione assunta.

 

Invero, secondo un primo orientamento interpretativo, divenuto senz’altro maggioritario negli ultimi anni, l’ordinanza di demolizione di un fabbricato abusivo non richiede una particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata, e ciò anche qualora sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso, in quanto deve escludersi la configurabilità di un legittimo affidamento in capo al responsabile dell’intervento abusivo o al suo avente causa. In questi termini, cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2016, n. 1774 [1].

 

In base a questa impostazione ermeneutica, l’ordinanza di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, si configura come un atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né – ancora – una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare. Così Cons. Stato, IV, 28 febbraio 2017, n. 908.

In proposito, è stato inoltre evidenziato che – ove si volesse dare rilievo, in queste fattispecie, al decorso del tempo anche al solo fine di aumentare l’onere motivazionale richiesto all’amministrazione comunale – ciò comporterebbe l’introduzione, in via pretoria, di una sorta di “sanatoria extra ordinem”, la quale opererebbe anche nelle ipotesi in cui il soggetto interessato non abbia potuto - o voluto - avvalersi delle disposizioni normative in tema di sanatoria di abusi edilizi (in tal senso: Cons. Stato, VI, 15 gennaio 2015, n. 13).

 

In aperta contrapposizione, si rinviene invece un secondo filone giurisprudenziale – condiviso soprattutto in anni meno recenti, ma non solo – secondo il quale, è ben vero che l’ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, ma tuttavia deve «essere fatta salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato: ipotesi – questa – in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione la quale indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse - evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità - idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato. Cfr., per esempio, Cons. Stato, IV, 2 novembre 2016, n. 4577.

In quest’ottica, la giurisprudenza ha più volte sostenuto che «Il notevole periodo di tempo trascorso tra la commissione dell’abuso e l’adozione dell’ordinanza di demolizione, e il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, possono costituire indice sintomatico di un legittimo affidamento in capo al privato, a fronte del quale grava quantomeno sul Comune, nell’esercizio del potere repressivo-sanzionatorio, un obbligo motivazionale “rafforzato” circa l’individuazione di un interesse pubblico specifico alla emissione della sanzione demolitoria, diverso e ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato, in deroga al carattere strettamente dovuto dell’ingiunzione a demolire». Così Cons. Stato, sez. VI, 8 aprile 2016, n. 1393, ma anche molte altre [2].

 

A fronte di questo perdurante contrasto giurisprudenziale, la Sezione Sesta del Consiglio di Stato, con ordinanza in data 24 marzo 2017, n. 1337 ha rimesso all’Adunanza plenaria stabilire se l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba recare effettivamente una congrua motivazione  sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata, allorquando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga rispetto alla commissione dell’abuso.

Ebbene, il Plenum del Consiglio di Stato, con la nota sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017, ha aderito alla prima impostazione ermeneutica, e ha sostenuto che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo – stante la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto – non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso, precisando, altresì, he siffatto principio non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di molto tempo dall’effettiva realizzazione dell’opera abusiva.

Dopo la citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria, le diverse sentenze rese dal Consiglio di Stato nel corso del 2018 sono state pressoché tutte conformi [3], tranne forse la decisione Cons. Stato, Sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3372, che appare parzialmente in contrasto, anche se, in realtà, ha ravvisato la necessità di una motivazione puntuale, da parte dell’Ente, non già – o non solo – per il lungo tempo decorso da quando l’abuso era stato realizzato, ma per l’affidamento ingenerato nel privato, a seguito dell’avvenuto rilascio di un titolo edilizio [4].

 

Per quanto riguarda, infine, la decisione qui in esame, la stessa si è posta nel solco della giurisprudenza maggioritaria e, richiamando espressamente – nella sua parte motiva – il dettato della succitata Adunanza Plenaria n. 9/2017, ha ribadito che la demolizione di un immobile edificato senza il necessario titolo, avendo natura vincolata ed essendo rigidamente ancorato alla sussistenza dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non necessita di specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell’abuso e ciò neppure ove la sanzione della demolizione sia intervenuta a distanza di lungo tempo dalla realizzazione dell’abuso medesimo.

Di qui, i Giudici di Palazzo Spada hanno, dunque, respinto l’appello proposto dai privati, provvedendo a confermare la decisione di primo grado del T.A.R. Campania.

avv. Domenico Chinello




[1] Di analogo tenore sono pure le decisioni Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880 e Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5943.

[2] Negli stessi termini, si vedano anche le sentenze Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2512; Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3847; Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2705; Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 883; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2006, n. 3270.

[3] Cfr. la sentenza Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1893: «È legittimo l’ordine di demolizione emanato a distanza di un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso in quanto la mera inerzia da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata».

Ma si veda pure Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2018, n. 3351: «In caso di abusi edilizi, l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né — ancora — una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare. Deve, infatti, riconoscersi all’illecito edilizio natura di illecito permanente in quanto un immobile interessato da un intervento illegittimo conserva nel tempo la sua natura abusiva tale per cui l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata è in re ipsa, quindi l’interesse del privato deve intendersi necessariamente recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico-edilizia e al corretto governo del territorio».

Del medesimo segno è anche Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4169: «L’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo adottata a distanza di venti anni non deve essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Infatti è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria».

[4] Invero, secondo la citata sentenza, «La risalenza nel tempo dell’abuso contestato, l’affidamento ingeneratosi in conseguenza del rilascio del titolo edilizio del locale (tecnico-deposito poi utilizzato come) garage, integrano, complessivamente considerati, parametri oggettivi di riferimento da valutare, decorsi oltre quaranta anni dalla realizzazione dell’abuso, prima d’adottare la misura ripristinatoria ovvero da dover indurre il Comune a fornire adeguata motivazione sull’interesse pubblico attuale al ripristino dello stato dei luoghi».