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Una tettoia con pilastri e travi in legno, e manto di copertura in tegole, benché priva di pareti laterali, deve rispettare le distanze legali

05/05/2021

È noto che tutti gli interventi di nuova costruzione devono rispettare le distanze legali, e più specificamente, la distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, come prescritto dall’art. 9, del D.M. 1444/1968, che ha introdotto una norma integrativa degli strumenti urbanistici comunali.

Si tratta di una disposizione volta alla salvaguardia delle imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, al fine di evitare intercapedini nocive tra edifici, tali da compromettere i profili di salubrità degli stessi, quanto ad areazione, luminosità e quant’altro; e si configura certamente come una norma che, in ragione delle prevalenti esigenze di interesse pubblico, innanzi indicate, ha carattere cogente e tassativo, prevalendo anche sulle disposizioni regolamentari degli Enti locali che dispongano in maniera più riduttiva.

In quest’ottica, è da chiedersi se una tettoia da realizzarsi in aderenza all’abitazione principale, e destinata a rimanere aperta sugli altri tre lati, possa/debba qualificarsi o meno come nuova costruzione, ai fini del rispetto delle distanze minime di legge.

È questo il caso che è stato deciso dalla recente sentenza T.A.R. Calabria, Sez. II, 09.04.2021, n. 752 (che si riporta in calce).

In quella circostanza, il Comune aveva diniegato il Permesso di costruire chiesto da un privato per realizzare, in aderenza alla propria casa, una tettoia in pilastri e travi in legno lamellare con copertura in tegole. Secondo l’Ente locale, il progetto non poteva essere approvato, perché doveva qualificarsi come “nuova costruzione” e non rispettava le distanze minime di legge da un edificio frontistante di altro proprietario.

Il privato interessato ha impugnato il diniego avanti al T.A.R. competente per territorio, sostenendo che l’opera in progetto – in quanto priva di pareti perimetrali – non poteva considerarsi una costruzione e non era, dunque, assoggettabile alle distanze legali.

Il Collegio giudicante, tuttavia, si è mostrato di altro avviso. Richiamando il consolidato insegnamento sia della giurisprudenza amministrativa che civile, il T.A.R. ha concluso che – ai fini delle norme sulle distanze legali – la nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio in senso stretto, ma deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera.

Tale interpretazione è stata confermata anche dalla recentissima decisione Consiglio di Stato sez. VI, 05/03/2021, n.1867, ma si tratta di un orientamento interpretativo assolutamente consolidato del Giudice amministrativo: si vedano, fra le tante, la sentenza Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 12.06.2020, n. 427.

Analoga, peraltro, è l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte civile: «Ai fini della osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, è qualificabile come costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al solo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera, dai caratteri del suo sviluppo volumetrico esterno, dalla uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, purché determini un incremento del volume, della superficie e della funzionalità dell’immobile e non abbia una funzione meramente decorativa» (Cassazione civile, sez. II, 28.10.2019, n. 27476)

Con più specifico riguardo ai manufatti aperti, la giurisprudenza, poi, ha più volte coerentemente sentenziato: «Costituisce una costruzione, ai sensi dell’art. 873 c.c., anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria ed abbia i caratteri della stabilità, della consistenza e dell’immobilizzazione al suolo» (Tribunale Lucca, 18.12.2020, n. 1184).

E ancora: «Ai fini del rispetto delle distanze legali, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio in mattoni o conglomerato cementizio, ma si estende a qualsiasi manufatto che, a prescindere dai materiali utilizzati e seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria e abbia i caratteri della stabilità, consistenza e immobilizzazione al suolo, anche solo mediante appoggio, incorporazione o collegamento con altro preesistente corpo di fabbrica» (Corte Appello Ancona, sez. II, 10.09.2020, n. 905).

In questi casi, allora, il computo delle distanze va effettuato dalla linea ideale che congiunge le strutture portanti della tettoia aperta: «In relazione alle prescrizioni di cui all’art. 873 c.c. costituisce costruzione anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, sicché – al fine di verificare l’osservanza o meno delle distanze legali – la misura deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate dei manufatto stesso» (T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 19.05.2015, n. 1029).

Di qui, in coerenza con il citato insegnamento giurisprudenziale, anche la recente sentenza del T.A.R. Catanzaro n. 752/2021 ha concluso che la tettoia sottoposta al suo esame doveva comunque considerarsi “nuova costruzione”, e quindi rilevante ai fini del calcolo della distanza minima tra edifici, poiché avrebbe costituito un ampliamento funzionale dell’abitazione esistente, che presenta una porta di accesso ed una finestra proprio in corrispondenza della tettoia medesima.

avv. Domenico Chinello


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Pubblicato il 09/04/2021

N. 00752/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00962/2020 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 962 del 2020, proposto da:
A. T., rappresentato e difeso dagli Avv.ti G. S., C. B., con domicilio digitale come da p.e.c. da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Limbadi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. G. C., con domicilio digitale come da p.e.c. da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

del provvedimento del 29.05.2020, prot. n. 3679, avente ad oggetto il diniego del permesso di costruire;

nonché

per il risarcimento del danno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Limbadi;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2021 il Dott. Arturo Levato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Sig. A. T. espone che in data 1.10.2019 ha presentato istanza di permesso di costruire, prot. n. 5918, per la realizzazione di una tettoia di pertinenza ad un edificio sito in Corso Vittorio Emanuele III, contraddistinto in catasto fabbricati al foglio 12, particella 758, ricadente nella zona omogenea di tipo B, Aree soggette alla ricomposizione degli isolati attraverso interventi puntuali del P.S.C. del Comune di Limbadi.

Con nota prot. n. 2570 del 14.04.2020 l’Ente territoriale ha comunicato al ricorrente i motivi ostativi ex art 10-bis L. n. 241/1990 al rilascio del permesso richiesto, poiché “Le opere in progetto sono in contrasto con quanto previsto all’art 9 comma I punto 2) della Legge 1444/1968: … Di fatti le opere in progetto e l’immobile esistente del lotto adiacente di proprietà Redi Marianna, risultano essere ad una distanza inferiore ai 10 metri prescritti dalla citata norma”.

Disattendendo le memorie difensive inoltrate dall’esponente, il Comune ha quindi adottato il provvedimento di diniego del permesso di costruire prot. n. 3679 del 29.05.2020.

Avverso tale determinazione insorge il ricorrente, chiedendone l’annullamento, poiché viziata da: i) violazione dell’art. 20 D.P.R. n. 380/2001, violazione degli artt. 4, 5 L. n. 241/1990; ii) violazione dell’art 9, comma 1, n. 2) D.M. 1444/1968, violazione dell’art 12 D.P.R. n. 380/2001, violazione dell’art. 2 n. 7) P.S.C. del Comune di Limbadi, violazione dell’art 873 c.c., eccesso di potere.

L’esponente chiede altresì il risarcimento dei danni derivanti dal mancato rilascio del titolo edilizio.

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Limbadi, che confuta le doglianze, concludendo per il rigetto del ricorso.

3. All’udienza pubblica del 23 marzo 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Con la prima censura il ricorrente lamenta la violazione dell’art 20, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, poiché il nominativo del responsabile unico del procedimento non è stato comunicato entro dieci giorni dalla presentazione della domanda del permesso di costruire, avvenuta in data 1.10.2019, ma soltanto il 7.04.2020 con nota n. prot. 2413.

L’assunto non è fondato.

È invero costante la giurisprudenza nello statuire che l’omessa indicazione de responsabile del procedimento amministrativo “costituisce una semplice irregolarità, che non determina l’illegittimità del provvedimento finale, in quanto supplisce il criterio legale di imputazione del ruolo al dirigente preposto all’unità organizzativa competente” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 2 novembre 2020, n. 6755).

5.1. Si duole ancora l’esponente che il diniego avversato sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968, che prescrive la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, nonché in violazione dell’art. 2 del P.S.C. del Comune di Limbadi. Ciò in quanto la tettoia oggetto del progetto edilizio presentata dal deducente -poiché da realizzarsi in “pilastri e travi in legno lamellare, e manto di copertura a tegole” e pertanto, priva di pareti laterali- non potrebbe annoverarsi nel concetto di parete di edificio di cui all’art 9 D.M. n. 1444/1968, cosicché il manufatto risulterebbe inidoneo a creare intercapedini tra gli edifici, dannose per la salubrità e per l’igiene.

La doglianza va disattesa.

Giova premettere che l’art. 9, comma 1, n. 2) D.M. n. 1444/1968 – rubricato “Limiti di distanza tra i fabbricati” – stabilisce che “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: … 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.

La riportata disposizione ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, che stabilisce in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 settembre 2020, n. 5466).

La giurisprudenza, sia amministrativa sia civile, ha poi precisato che “ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici di origine codicistica, la nozione di costruzione non può identificarsi con quella di edificio, ma deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo 2021, n. 1867; Corte di Cassazione, Sez. II, 15 dicembre 2020, n. 28612; 10 febbraio 2020, n. 3043; 28 ottobre 2019, n. 27476).

Tanto chiarito, dalla determinazione avversata risulta che la costruzione in esame è costituita “da una tettoia con struttura lignea, sorretta d n. 6 pilastri, avente copertura opaca di tegole a due falde, di dimensioni di pianta di m. 3.90 x 5.00 m e altezza alla gronda di m 2.30, adiacente ad una struttura già esistente con funzione di garage…”.

In applicazione dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968 e della richiamata giurisprudenza, tale manufatto è quindi da considerarsi alla stregua di nuova costruzione, rilevante ai fini del calcolo della distanza minima tra edifici, poiché costituirebbe un ampliamento funzionale del corpo di fabbrica già esistente, il quale presenta una porta di accesso e una finestra proprio in corrispondenza della tettoia medesima.

Dal provvedimento di diniego emerge quindi che l’opera in progetto e l’immobile esistente del lotto adiacente sono collocati ad una distanza inferiore ai dieci metri prescritti dall’art. 9 D.M. n. 1444/1968, risultando pertanto legittimo il rigetto della richiesta di rilascio del permesso di costruire.

6. La domanda di annullamento è quindi infondata.

7. Va altresì disattesa la richiesta di risarcimento del danno, in ragione del mancato accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato, quale coelemento necessario per l’integrazione dell’illecito imputabile all’intimata p.a. ex art. 2043 c.c.

8. Il ricorso è pertanto respinto.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore del Comune di Limbadi, che liquida in complessivi euro 3.305,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25 d.l. n. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020 e ss.mm., con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Iannini, Presidente

Arturo Levato, Referendario, Estensore

Gabriele Serra, Referendario